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Processo Störk
Ultimo processo per Cefalonia, 15 Giugno 2012

Di Marcella De Negri


Il 20 marzo 2012 il procuratore militare capo di Roma, Marco De Paolis, ha emesso la richiesta di rinvio a giudizio contro Alfred Störk , un ex militare tedesco responsabile, secondo l’accusa, dell’uccisione di ufficiali italiani alla Casetta Rossa a Cefalonia il 24 settembre 1943.

L’Udienza Preliminare è stata fissata per il 15 giugno 2012.

Sono la figlia del capitano Francesco De Negri, fucilato appunto il 24 settembre a Cefalonia e, da quando un magistrato tedesco, Ulrich Maass, procuratore a Dortmund, nel 2003, riaprì un procedimento contro due soldati tedeschi per la fucilazione degli ufficiali alla Casetta Rossa, io mi sono costituita parte civile.

Il procedimento in Germania fu archiviato la prima volta a Monaco di Baviera, dove era passato per ragioni di competenza territoriale, con un’ordinanza del pubblico ministero August Stern. L’ordinanza Stern suscitò grave scandalo, in Italia e in Europa, poiché vi si sosteneva che l’indagato Otmar Mühlhauser non poteva essere processato, dato che i soldati italiani erano considerati dai tedeschi “traditori”, paragonabili ai disertori tedeschi e quindi per loro, come ebbe sempre a sostenere l’indagato, “l’unica soluzione possibile era l’esecuzione”.

Mi opposi a questa ordinanza ma alcuni mesi dopo essa fu confermata dal procuratore generale Musiol, seppur con parole più caute rispetto ai soldati italiani “traditori”.
Mi opposi anche alla seconda archiviazione ma, ahimé, anche il mio ricorso alla corte d’appello della Baviera fu respinto, e il presidente Kaiser confermò l’ordinanza Stern: l’indagato fu prosciolto e tutti i processi per Cefalonia si estinsero in Germania nell’ottobre 2007.

La mia battaglia in Germania fu solitaria e non ebbi alcun sostegno dalle istituzioni italiane.

Nell’autunno del 2007 io e Paola Fioretti, figlia del colonnello Giovanni Battista Fioretti, capo di stato maggiore a Cefalonia fucilato con mio padre
alla Casetta Rossa, facemmo un esposto al procuratore militare di Roma, Antonino Intelisano, per chiedergli di aprire un procedimento in Italia per la strage degli ufficiali.
 
Finalmente, dopo anni lasciati trascorrere inutilmente (la prima confessione di Otmar Mühlhauser risaliva al 1967!), il procedimento si aprì, ma il suo svolgimento fu assai lento: lentezza ingiustificabile, rispetto a un “reo-confesso” per un crimine di guerra commesso 64 anni prima.
Al fine di accelerare il procedimento, i nostri avvocati avevano depositato presso la procura militare di Roma anche le confessioni, rese dall’indagato in Germania nel 1967 e nel 2003, tradotte da interpreti, accreditate presso la procura di Monaco di Baviera e autenticate dal consolato italiano della stessa città.
Questo procedimento si estinse, due anni dopo, durante l’udienza preliminare per, come usa dire, “morte del reo”.
 
Il procuratore Intelisano, mesi prima, aveva dichiarato in una intervista  che “i magistrati non possono processare i morti come invece fanno gli storici”: è certamente vero e difatti, per evitare un processo, è molto spesso sufficiente attendere che l’indagato muoia, cosa non improbabile se è già molto vecchio.

Quando l’attuale procuratore militare a Roma, Marco De Paolis - per cui ho molta stima per tutti i processi, per stragi di civili, che è riuscito con ammirevole impegno a celebrare quando era procuratore a La Spezia (Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto-Montesole, Falzano di Cortona, Civitella in Val di Chiana, etc.) - mi avvisò dell’indagine in corso contro Störk, per qualche tempo ho avuto perplessità e incertezze sull’idea di costituirmi, ancora una volta, come parte civile.
L’imputato oggi è un vecchio che aveva solo vent’anni nei giorni in cui ha partecipato al massacro.
 
Ho poi letto però la sua confessione, rilasciata nel 2005, in cui ammette che il plotone di cui faceva parte fucilò 73 ufficiali. La frase che più mi ha colpito e turbato è stata questa: “... I corpi sono stati ammassati in un enorme mucchio uno sopra l’altro... prima li abbiamo perquisiti togliendo gli orologi, nelle tasche abbiamo trovato delle fotografie di donne e bambini, bei bambini”.
Questo frugare nei corpi ancora sanguinanti, nelle tasche di divise dalla giacca slacciata (a cui erano stati tolti i bottoni che avrebbero potuto deviare i colpi dei fucili)  per portar via gli oggetti di valore e tenere fra le mani quelle fotografie di bambini, “belli”, e donne che mai più avrebbero rivisto i loro cari massacrati, mi ha convinto alla costituzione di parte civile.

L’età media dei soldati a Cefalonia era di 23-24 anni. Mio padre, molto vecchio, era stato richiamato perché “ufficiale di complemento”. Si era trovato a Caporetto durante la prima guerra mondiale. Era un uomo d’altri tempi, con profondi sentimenti per la famiglia e per i suoi cinque figli. Certamente aveva le nostre fotografie nelle sue tasche e io ero una di quei “bei bambini”.

E allora ho fatto mie le parole del procuratore militare De Paolis durante la conferenza stampa in cui annunciò la richiesta di rinvio a giudizio per Störk: “… E’ ingiusto in sé svolgere dei processi a quasi 70 anni dai fatti …. c’è la consapevolezza di essere ormai in grave ritardo e c’è amarezza nel non essere riusciti a dare giustizia alle vittime nelle forme e nei tempi appropriati. Tuttavia l’apertura del nuovo processo è un atto doveroso, sia nel rispetto della legge che della memoria dei nostri militari barbaramente uccisi e dei loro familiari”.
 
De Paolis poi, annunciandomi pochi giorni prima la richiesta di rinvio a giudizio, mi aveva scritto : "....Questo processo è quasi impossibile. Ciò non toglie che noi lo faremo. Nel rispetto della legge e soprattutto nel rispetto dell'onore e della memoria delle vittime ".
 
Un altro motivo mi ha convinto alla costituzione. Ogni soldato tedesco portava in tasca una sorta di tessera di identità (Soldbuch), con fotografia, i dati anagrafici e i “10 Gebote” (i “Dieci comandamenti per la condotta della guerra del soldato tedesco”).
Il 1° dice: “Il soldato tedesco si batte cavallerescamente per la vittoria del suo popolo. Atrocità e inutili distruzioni non sono degne di lui”.
Il 3°: “Non è lecito uccidere l’avversario che si arrende, nemmeno il franco tiratore o la spia”.
Il 4°: “I prigionieri di guerra non possono venire maltrattati o oltraggiati. Armi, carte e notizie scritte vanno loro tolte. Null’altro degli effetti personali può essere loro tolto”.
Infine il 7° comandamento, importante per le stragi nazifasciste di civili, così numerose ovunque in Europa, ma non per la strage di Cefalonia, prescrive: “La popolazione civile è inviolabile”.
Quindi ogni soldato tedesco era, volendo, consapevole della sua responsabilità personale.

Quando vado a chiacchierare nelle scuole intorno a Cefalonia, ma anche parlando con giovani amici, cerco sempre di insistere su questo tema: la responsabilità personale di ognuno di noi per tutto ciò che facciamo, e la impossibilità, l’ingiustizia nel fare ricorso, come giustificazione, alla catena di comando (fosse il duce, il kaiser, il fürher, il padre, la madre, l’insegnante), per giustificare una azione scorretta o, peggio, un crimine.
Credo che questo processo, seppur tardivo, possa, debba insegnare ai giovani che è giusto processare e condannare gravi crimini contro l’umanità, anche se non ci sarà mai l’esecuzione della condanna a causa della tarda età dell’imputato e dell’assoluto rifiuto della Germania (complice l’Italia) rispetto all’esecuzione in patria di una eventuale sentenza.
 
Nessuno dei condannati in Italia all’ergastolo per le stragi di civili più efferate - con sentenze confermate dalla corte di Cassazione, diventate quindi definitive e senza appello possibile - ha mai dovuto subire in Germania neppure gli arresti domiciliari: un caso di totale collaborazione tra l’Italia e la Repubblica federale tedesca. (Criminali di guerra in libertà è il bellissimo titolo di uno dei libri sul tema, del professore Filippo Focardi).

E ancora, con grande amarezza, penso all’armadio della vergogna, al Fascicolo 1188 che riguardava Cefalonia, all’amico Franco Giustolisi che tanto si è impegnato, senza successo, per arrivare a sapere e a scoprire - finalmente dopo tanti anni - chi avesse avuto la precisa responsabilità politica di questa “archiviazione provvisoria” assolutamente illegittima.
Resta uno dei misteri italiani.
 
La strage di Cefalonia forse, nel corso del tempo, si chiarirà sempre più dal punto di vista storico.
 
Dal punto di vista giudiziario non ci sono mai stati colpevoli processati e condannati. Lo stesso generale Hubert Lanz, comandante il XXII corpo d’armata che operò anche a Cefalonia, fu processato a Norimberga “soltanto” per la fucilazione degli ufficiali alla Casetta Rossa e non anche per la strage dei soldati di cui era certamente responsabile.
Il generale americano e pubblico ministero Telford Taylor concluse la sua requisitoria dicendo: “Questo calcolato e deliberato massacro di ufficiali italiani catturati o arresi è una delle azioni più illegali e disonorevoli del combattimento armato… Erano soldati regolari che avevano diritto al rispetto, all’umana considerazione e ad un trattamento cavalleresco”. Molti ritengono che egli si riferisse alla strage dei soldati della Divisione Acqui, massacrati dopo che si erano arresi, ma in realtà, come è chiaro dalle parole qui riportate, si riferiva ai soli ufficiali fucilati alla Casetta Rossa.
Anche a Norimberga, dunque, una giustizia di classe.
 
Il gen. Hubert Lanz, condannato per queste fucilazioni a dodici anni nel 1948, ne scontò poi soltanto tre poiché il cancelliere Adenauer, durante le sue trattative anti URSS e pro Nato e riarmo della Repubblica Federale Tedesca nel 1951, pretese dagli Alleati la liberazione di tutti i criminali di guerra tedeschi processati e detenuti in Germania.

Mi costituisco quindi parte civile per una serie diversa di motivi, non ultimo dei quali è stato l’incoraggiamento a farlo di tutte le amiche e gli amici che hanno avuto parenti uccisi o deportati durante la seconda guerra mondiale.
 
Il raggiungimento di una sentenza in questo processo - anche la più severa, ma per la quale l’imputato Störk non subirebbe conseguenze concrete - costituirebbe un esito non ingiusto ma per me amaro.
Sarebbe la condanna simbolica di un “soldato qualunque”, quasi un “soldato ignoto”, perché i veri responsabili della strage dei soldati che si erano arresi avendo il diritto ad essere trattati come prigionieri di guerra e della fucilazione degli ufficiali - sono riusciti, per la protezione del loro paese e con la complicità della classe politica italiana del dopoguerra, a farla franca, avendo goduto, come il generale Lanz e molti altri, anche di una lunga e gratificante vita, e occupato posti di alta responsabilità nell’amministrazione della “nuova” Germania.


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